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LA MADRE, IL FIGLIO, LA MALATTIA MENTALE. L’AMORE, SOPRATTUTTO.

  • Immagine del redattore: Chiara Elanor Carugati
    Chiara Elanor Carugati
  • 6 ott
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 9 ott


Quando ho comprato Sabbie Mobili, quarto volume della collana che Rizzoli ha dedicato ai dieci comandamenti, ero piuttosto certa che ci avrei trovato qualcosa per e di me: con Niente di Vero, quella di Veronica Raimo è diventata una delle penne in cui ripongo fiducia.


Come volevasi dimostrare, arrivata solo alla settima riga della prima pagina ho iniziato a mettermi nell’ordine d’idee che quel libriccino potesse essere uno di quei testi che

risuonano dentro per molto tempo.

Non c’è scritto niente di particolare, a quella settima riga, c’è scritto: “le piaceva tantissimo mettersi a letto”.

Siamo all’inizio della storia e il protagonista, un bambino di nove anni di cui non scopriamo mai il nome, sta appena iniziando il suo racconto.

Arrivata solo alla settima riga della prima pagina ho iniziato a mettermi nell’ordine d’idee che quel libriccino potesse essere uno di quei testi che risuonano dentro per molto tempo.



Il testo di Raimo è associato al quarto comandamento, “onora il padre e la madre”, e avevo ben immaginato che la tematica principale fosse la famiglia.

Non sapevo, però, quale delle infinite sfumature dell’argomento sarebbe stata affrontata. L’ho capito (o, almeno, mi è parso di capirlo) quando ho letto che, per un bambino di nove anni, una delle cose più importanti di sua madre, una di quelle cose che la definiscono come persona, è che passa tanto tempo a letto.

Ho pensato: “oh, no” e, subito dopo, “oh, sì”, e entrambe le mie reazioni si sono rivelate essere giustificate.


Sabbie Mobili è la storia dell’amore di un figlio verso una madre che, risulta chiaro durante la lettura, fatica a aderire alla realtà e, di conseguenza, fatica a vedere suo figlio, a concepirlo come carne e ossa e non come un fantasma da allontanare, perché considerato monito perpetuo dell’amore perduto (il padre del bambino, che li ha abbandonati).


I due vivono nell’indigenza, perché la madre non lavora, in una casa trascurata il cui odore, per chi è abituato al profumo dell’ammorbidente, è puzza ma che per il piccolo è, semplicemente, l’odore della mamma e, in quanto tale, risulta amabile perché non si conosce altro.

La pugnalata al cuore, nel racconto di Raimo, è intuire il disagio esistenziale di una madre attraverso le parole di un figlio piccolo che, ovviamente, non sa dare un nome preciso a quello che succede alla sua mamma (e un nome, in realtà, non sta nemmeno a noi darlo, e nemmeno ci interessa particolarmente farlo) e, tantomeno, ha gli strumenti per spiegarsi la presenza in casa loro delle “signorine” che si occupano di portarlo a scuola, o la necessità della donna di ricorrere a “aiutini” farmacologici, quando potrebbe ricorrere solamente all’amore del figlio.

Se, però, per il piccolo c’è una cosa chiara a tal punto che, personalmente, è arrivata più forte della pugnalata al cuore, quella è proprio l’amore: per sua mamma e per quella loro vita in cui, nonostante tutto, sono solo loro due.


Una cosa, l’amore, tanto importante da valer la pena di disobbedire alla propria madre per renderlo indelebile e farselo raccontare, daccapo e ogni notte, dagli uccellacci che si posano sul comodino di fianco al letto.



E ALLORA CAPISCI.CHE L’AMORE NON È MAI PULITO. RAIMO NON SCRIVE SOLO DI UNA MADRE E DI UN FIGLIO — SCRIVE DI TUTTI NOI, DI QUEL PEZZO D’AMORE CHE RESTA ANCHE QUANDO TUTTO IL RESTO SI SBRICIOLA.

SABBIE MOBILI È UNA CAREZZA CHE GRAFFIA. E DOPO AVERLA LETTA, NON SI GUARDA PIÙ LA TENEREZZA ALLO STESSO MODO.

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